Cinema
Franco amava molto il cinema, da spettatore. Lo amava forse meno da attore, da professionista della scena. Il contatto diretto con gli spettatori lo vivificava, il rapporto con una macchina da presa lo imbarazzava, come lui stesso soleva dire, non gli forniva quello stimolo per lui indispensabile per mettere in moto un processo creativo e comunicativo che lo ha portato a raggiungere gli straordinari risultati che conosciamo in campo teatrale.
Sono pochi i film in cui Franco appare, anche se sempre in ruoli principali. Abbiamo voluto dare testimonianza anche di questa parte, forse meno conosciuta, del suo lavoro.
E ci è parso bello, come introduzione a questa sezione, riportare le parole di Jordi Mollà, attore e regista di origine spagnola ma di respiro internazionale, che ha avuto modo sia di recitare accanto a Franco su un set cinematografico, sia di dirigerlo come regista del film "No somos nadie".
“Dicono che un attore di cinema non abbia niente a che vedere con un attore di teatro. Può darsi.
Per me, un attore è un attore, e Franco era capace di essere un genio in entrambe le discipline, in teatro come in cinema. Come gli attori dei film di Ingmar Bergman, Franco era capace di trasformare il corpo, l'espressione, di tramutare l'urlo in una strana serenità che una cinepresa riprendeva in primo piano.
Tutti i ciak che Franco recitava erano sempre diversi, era difficile sceglierne uno poi nel montaggio perché, qualunque fosse la scelta, funzionava sempre. Franco sapeva creare emozione in teatro ma anche in cinema, anche se il cinema non lo ha scelto spesso, forse anche perché a Franco non piaceva essere guardato troppo da vicino. Almeno questo è quanto mi diceva.
La sua presenza era (e non lo dico con leggerezza), simile a quella di un Marlon Brando, respirava, era presente, non aveva fretta, non rifletteva troppo su quello che doveva dire, ma lo diceva come se fosse stata la prima volta, e non solo lo diceva, ma gli dava un senso, il suo senso, come sanno fare i grandi attori, i quali non solo dicono la battuta ma la creano, la elaborano, la fanno propria per poi darla allo spettatore.
Ho sempre pensato che un grande attore non possa che avere una immensa personalità, in qualsiasi direzione essa si dispieghi. Non penso, come tanti dicono, che un attore debba essere poco intelligente, penso semmai il contrario. Dovrà essere così intelligente da farti credere che tu sei stupido. Così raffinato da poter capire tanti aspetti dell'essere umano per poterli poi mostrare con eleganza, distacco, profondità, leggerezza, senso dell'humor, malinconia, forza, crudeltà.
È allora che un attore diventa un artista, padrone di ciò che si chiama: recitare.
Franco era questo e tantissime altre cose per me. È un ricordo presente ogni giorno della mia vita.
Un mago".
Jordi Mollà
Schede film
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1263. Un frate, di fronte a ciò che resta del corpo di Sant'Antonio, inizia a raccontare la sua storia. La storia del santo comincia dal suo arrivo in Italia dal Portogallo a bordo di una nave che trasporta un tesoro. La figura di Antonio, che prima di tutto era un uomo, si lega a quella di numerosi personaggi che incontra lungo il suo cammino.
Diretto con piglio sicuro dall'esordiente Antonello Belluco, Antonio guerriero di Dio, porta per la prima volta sul grande schermo la figura di Sant'Antonio da Padova, una delle figure più importanti e discusse della storia della cristianità. Nonostante la biografia del Santo sia circoscritta agli ultimi anni della sua vita e alcuni elementi della trattazione siano dichiaratamente inventati, piace l'approccio scelto dal regista per raccontare la sua storia: invece di cedere alla facile tentazione di spettacolarizzare la figura di Sant'Antonio, proponendolo come mero "miracle maker", con tutto quello che avrebbe potuto conseguirne, Belluco sceglie di focalizzare l'attenzione sull'umanità, i sentimenti, le paure e le emozioni provate dal protagonista che appare così fragile, tormentato e realistico.
Stilisticamente pregevole e tecnicamente ineccepibile, il film è graziato dalla stupefacente performance di Jordi Molla che incarna alla perfezione la spiritualità ed il misticismo che aleggia attorno alla figura del Santo, offrendo una prova d'attore d'altri tempi.
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Questo film è stato realizzato all'interno del Centro Popolare Autogestito Fi-Sud e totalmente autofinanziato con la collaborazione di Officine cinematografiche, Burp Andergroond Productions, Kinkaleri, Luther Blisset, Arbus, Cubo ... [et al.].
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Goya ha ormai ottant'anni e vive in esilio a Bordeaux con l'amante Leocadia e la figlia a cui racconta la sua vita, dagli inizi fino all'occupazione francese.
Sullo sfondo degli studi in cui è girato il film enormi pannelli con i quadri del grande Maestro.
Il film è di Saura ma, soprattutto, dell' "autore della fotografia" Vittorio Storaro, che sul rapporto oscurità/luce costruisce questa biografia.
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Mario Gibellini è un pugile soprannominato "il danseur". Il film scandisce in dodici parti (come le riprese di un match) la sua vita. Con la sua passione per il ring e con un'aderenza totale tra mondo della boxe e vita privata Mario si muove in una periferia industriale rielaborata in digitale che intensifica l'atmosfera di dolorosa attesa di una vittoria che forse verrà. Dipende a che prezzo.
Francesco Salvi, con venti chili di meno, torna sullo schermo in un ruolo distante anni luce da quelli che siamo soliti attribuirgli. Non si limita ad essere solo protagonista ma è anche autore della sceneggiatura e di alcune canzoni.
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È la storia di Salva, un umile ragazzo di quartiere che chiede l'elemosina nella metropolitana accompagnato dal suo amico Angel. Ma la frase "è triste chiedere ma è più triste rubare" non funziona più. Visto il successo ottenuto dai vari telepredicatori, veggenti e altri ciarlatani che pullulano in televisione imbrogliando tutti, decidono di fare lo stesso. Inventano una storia, dicono di possedere una bevanda con poteri curativi: "Vermut Celestial". Ma un incidente li porta in prigione. Poi compare sulla scena "Mano Dura": un reality show nel quale si decide se le persone condannate a morte possono essere salvati o meno. Il presentatore, Bigardo, preoccupato dai problemi di bassa audience, vede in Salva la possibilità di risollevare le sorti del programma, giudicando (e condannando) un innocente.
Salva piace al pubblico che lo libera facendolo diventare un fenomeno dei mass media...
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